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Barra 1931, il ROMA, racconta gli otto gigli.

Tempo di lettura: 5 minuti

Di Romano Marino, la cui ringraziamo.

Un’intera pagina del giornale Roma
per gli otto Gigli del 1931
Sul giornale edito il 26 settembre 1931 usci un ampio articolo, qui riportato, nel quale si legge:
Feste e Tradizioni.


Barra, uno degli antichissimi villaggi o casale della nostra città, coronante la Metropoli dalla parte d’oriente, vanta pure i suoi bravi secoli di esistenza. E se il suo nome non affiora nell’antica Carta, e nelle infinità di documenti che consacrano fatti e cose delle remote epoche, tutta via, in un diploma del secondo Carlo D’Angiò dell’anno 1294, leggesi della regia concessioine di varii poderi fatta ad un Giovanni de Blasio, fra cui è detto: “Item petia terra arbustata sita in loco, qui dicitur Barra de Cozzi de territorio Tresani” dal che si rilevano due interessanti notizie e cioè: che la Barra si nominava de’ “Cozzi” e di trovarsi nel territorio detto “Trasano” questo territorio in verità si trova già ricordato in una Carta celebrata nella nostra città in tempo dell’imperatore Basilio e da altra carta del 7 marzo della VII Indizione dell’anno VIII del regno di Guglielmo, ricavasi che un Sergio Guidazzo vende a Giovanni
Aurimina un territorio in “loco Trasana” oltre il fiume Sebeto.
La stessa denominazione trovansi in altri diplomi di Re Roberto e del di
lui figliuolo Carlo duca di Calabria e infine, in un atto di concessione di
terra della regina Giovanna I. Dalle poche notizie archeologiche è facile giudicare come la più volta nominata famiglia de’ Cozzi auesse posseduto ampi poderi nel territorio appellato “Trasani”, e che sorto, quivi, in tempo a noi più prosimo un villaggio si fosse a questo dato il nome di Barra, dalla barra forse posta all’entrata dello stesso villaggio per l’esazione dei dazi e delle gabelle.
Due sentimenti non per tanto animarono, sempre, nel corso dei secoli il popolo di questo laborioso ed agricolo comunello, oggi nostra XII sezione municipale: il patrio ed il religioso. Del primo, ne sono sicure
prove sia la lapide murata per spontaneo ed unanime consenso dei
barresi sulla facciata del locale municipio, a prenenne protesta contro il più insano misfatto del secolo quale fu quello perpetrato contro il più

buono dei Re, il compiantissimo Re Umberto, nel suo primo anniversario della morte, e sia il significativo indouinato monumento eretto in mezzo alla ridente piazza, per tramandare ai posteri con giustificato orgoglio, i nomi dei 160 eroici conterranei, ufficiali e soldati, gloriosamente caduti per la patria nella Grande Guerra.
Del secondo sono testimoni le varie chiese intestate a diversi santi e fatte sorgere lungo le soleggiate arterie del villaggi, tra cui quella di S.Anna, protettrice di Barra, la cui festa viene solennizzata verso la fine di luglio e l’altra antichissima di Santa Maria delle Grazie, costruita a spese di un Geronimo di Fazio (Geronimo de Fazio) napoletano, fin dal 1585 come si rileva da un marmo murato a destra della facciata della medesima chiesa, affidata ai Minori Conventuali, dimoranti in un annesso Conventino, e dei quali, attualmente è Superiore il Padre Alessandro Gallinaro.
Costruita ad una sola navata questa chiesa ha sei altari laterli, su ognu-
no dei quali si eleva maestosa una immagine nella sua composta sere-
nità di santa o di beata; su quello maggiore di fronte, il fedele popolo
barrese venera una statua di S.Antonio di Padova (attualmente la statua, è collocata nella prima cappella a sinistra entrando nella chiesa), e nell’ultima domenica del ceruleo settembre solennizza ogni anno, nel modo più tradizionale, in onore del Taumaturgo, una caratteristica festa che non ha l’uguale (non era informato su quella di Nola)
Al di fuori delle consuete luminarie e musiche, dei festoni di erbe e dei
sbandieramenti per le molteplici vie, costruisce i caratteristici gigli, veri
giganteschi campanili a tre, quattro e persino cinque piani, rivestitid’oro
e di stucchi, sormontati da un santo o da una allegoria, per i quali chiama a raccolta i più provetti e consumati artisti del genere.
Per una tale impresa e gara Barra si divide in tanti piccoli campi di
concentramento, ognuno dei quali, in brevissimi giorni, con grande fervore, costruisce la propria macchina, col fermo proposito di eccellere fra tutte, per bellezza di linea e per stile architettonico, per profusione di ori e di ornamenti e per novità di carattere.
E, nella chiara, luminosa mattina destinata alla festa, questi imponenti
gigli sono allineati al cospetto del pubblico che vaglia ed elogia, ammira e commenta, in attesa della benedizione da parte del taumaturgo S.Antonio, che è a bella posta trasportato nella Piazza su di un carretto adorno di fiori e di festoni di mortelle, trainato da un bue.
Dopo la commovente funzione mentre il santo di Padova viene portato processionalmente.

I gigli, alzati a spalla da numerosi scaricanti del nostro porto, sono portati in giro per tutte le vie della
sezione, mentre dalle pedane delle stesse macchine le musiche suonano le più disparate marce e notissimi cantanti intonano le più belle canzoni, non esclusa qualcuna d’occasione di musicista o poeta locale (anche su questo non si era informato: i versi e le musiche delle canzoni erano, fatta eccezione per qualcuna, tutti di autori barresi). Una Piedigrotta del genere. Anzi, si può aggiungere: un misto di paganesimo e di cattolico fervore, di sacro e di profano.
Ma, tutto ciò, il popolo festaiuolo e intenditore, che guarda solamente al fine che giustifica i mezzi, accorre, si diverte, e partecipa lo stesso al tripudio barrese, dai comunelli limitrofi, come accorrono i napoletani da tutti i quartieri della città, in gaie comitive od a coppie, col “cammenatore” (si riferisce al cavallo che trainava la carrozzella) e con le “maeste ncannaccate” (donne tutte agghindate a festa), per godersi, nella gloria di luce della bella mattinata domenicale, il passaggio delle poderose macchine, dove, non di rado, gli capita di vedere uomini e donne che hanno passato la settantina, con gli occhi umidi di lagrime, segno palese di intero
intenerimento, inginocchiarsi computi sulla nuda terra e pregare
e implorare (questo al passaggio della statua di Sant’Antonio, non per
i Gigli)
“g. p.”


Segue poi l’elenco dei Rioni partecipanti:
1- I giglio di Piazza Serino, comandante Giuseppe Turiello
detto Pieppo (Peppe ‘e Pieppo)
2- Il giglio di Via Domenico Minichino (non cita il nome del coman-
dante che fu Pasquale Borriello, detto O masculo). *
3- 1 giglio di Via Domenico Ciccarelli (la Via è Pasquale Cicarelli)
comandato da Giuseppe Cozzolino.
4- Il giglio del Rione Marciapiede comandato da Ciro Russo. 5- Il giglio del Rione Traversa comandato da Giuseppe Ferraris
6-il giglio del Rione G. B. Vela (Vico Santa Lucia) comandato da
Ciro Nappo.
7- Il giglio del Rione Barra Maggiore comandato da Domenico Panico.
8-Il giglio del Rione Monteleone comandato da Letico (il cui nome
era Federico) detto ‘o vaccaro.


Da Cronache del Convento: “Una moltitudine di gente sin dalla prime
ore del mattino ha affollato la chiesa e ha aspettato con gran commozione l’uscita della statua del nostro Sant’Antonio per benedire i Gigli, è stato padre Alessandro (Gallinaro), ha celebrare la funzione…”
A Nola, in giugno, ci furono due paranze barresi, che trasportarono il
Giglio del “Parulano” (capo paranza Francesco Bollacco detto
Quacquarella) e quello del “Cantiniere” (non sono riuscito a risalire chi era il capo paranza di questo secondo Giglio). Dal 1933 e fino agli anni Cinquanta furono molti i “comparaggi” che intercorsero tra barresi e nolani: matrimoni, cresime e battesimi. Dall’una e dall’altra parte si
cercarono e si scambiarono, in pratica, favori e convivialità, che contri buirono ad accrescere l’amicizia tra la popolazione di Nola e quella di Barra.
Le riproduzioni che seguono sono di qualità scadente perché il tempo
ha fatto i sui danni, ma desidero inserirle ugualmente perché queste
liriche e queste foto testimoniano aspetti anche filosofici della vita e del
la festa (vedi la canzone di Palumbo:”Vedimmincenno bene”, o una sua poesiola dal titolo: “Felicità”, seguita dall’immancabile pubblicità
dei Savarese).
La paranza del Rione Traversa Minichino, denominata “Vitelli” dal
nome dei proprietari della citata fabbrica di conserve, vinse il primo premio con il capoparanza Francesco Bollacco, detto Quacquarella, meri-
tandosi la bandiera ed il diploma.

Ringraziamo, come sempre lo storico Romano Marino, per averci dato un altro storico racconto della festa.

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